La “Tazza Farnese” è il più grande cammeo esistente al mondo. Prende il nome dall’ultima collezione di cui fece parte prima di passare tra i beni del Museo, ma la sua storia si può ricostruire quasi senza soluzione di continuità dal 1239, quando viene acquistata da Federico II; ricompare poi nel 1430 alla corte di Samarcanda o di Herat; prima del 1458 è a Napoli fra i tesori di Alfonso V di Aragona; nel 1471 la acquista a Roma Lorenzo il Magnifico, e dal suo studiolo la coppa passerà ai Farnese tramite Margherita d'Austria. Della sua storia prima di Federico II si può solo ipotizzare che sia stata portata dall'Egitto a Roma e da qui a Bisanzio, da dove sarebbe tornata in Occidente. Sul fondo interno della coppa è raffigurata, in basso, una sfinge, su cui siede una figura femminile con spighe in mano; alla sua sinistra, su un albero, è una imponente figura maschile barbata con una cornucopia; al centro un giovane in piedi si appoggia al timone di un aratro e tiene il sacco con le sementi; a destra due figure femminili sedute e in alto due figure maschili trasportate da un mantello gonfiato dal vento. Il fondo esterno ha un grande gorgoneion, che riflette l'intonazione tragica e grandiosa dell'Ellenismo barocco. Il naso della Gorgone ha un forellino, forse traccia di un sostegno per l'esposizione. La presenza della sfinge offre un rimando diretto all’Egitto, ed è il punto di partenza di tutte le interpretazioni della iconografia sinora proposte. La lettura tradizionale vuole che la scena alluda alla piena del Nilo, identificabile con la figura femminile in abiti isiaci, alla forza fertilizzante del fiume, riconoscibile nella imponente figura barbata di sinistra, e al benessere che ne riceve l'Egitto, rappresentato dalla sfinge. Tentativi di esegesi più sottili sono stati effettuati nel tempo, miranti a identificare nei sette personaggi le divinità principali del pantheon egizio. Il riferimento a personaggi ed eventi storici, certamente suggestivo, non può a oggi spingersi oltre l’identificazione delle tre figure centrali con tre membri della famiglia dei Lagidi (la figura femminile sarebbe probabilmente da identificare con Cleopatra I, come dimostrerebbe il confronto con un ritratto al Louvre). L’associazione fra la serena raffigurazione del recto e la terribile immagine di Medusa al rovescio è stata interpretata come un riferimento alla famiglia reale, che sapeva reggere il governo con tranquillità, ricorrendo tuttavia alla inflessibilità ove ciò si fosse dimostrato necessario. Un aiuto per un corretto inquadramento cronologico dell’oggetto può venire dal confronto con i vetri dipinti in oro, di produzione alessandrina, che attestano, tra il III ed il II sec. a.C., la presenza di un piatto con orlo estroflesso molto vicino morfologicamente alla coppa; sono inoltre fondamentali la considerazione stilistica, che riconduce la tazza a forme della prima età ellenistica, e il tipo di intaglio, molto complesso, ad almeno quattro strati, con incisione a rilievo su entrambe le facce. Quanto alla sua funzione, pare certo che essa non fosse destinata al banchetto: più plausibilmente doveva venire usata in occasione di libagioni rituali.
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