Il gruppo scultoreo, definito “la montagna di marmo” perché ricavato da un unico blocco e in considerazione delle sue grandi dimensioni, rappresenta il supplizio di Dirce, legata a un toro inferocito da Anfione e Zeto come punizione per le angherie ripetutamente inflitte alla loro madre, Antiope. Al centro campeggia l’immagine del toro, enorme e imbizzarrito, trattenuto per le corna da uno dei due fratelli, mentre l’altro tiene la fune con la quale la sventurata sarà ancorata all'animale; ai piedi del gruppo centrale, a destra un cane e un pastore osservano la scena, mentre alle spalle emerge la figura di Antiope con il tirso in mano. Il soggetto, con una forte connotazione dionisiaca che viene dalla presenza del toro e dalla raffigurazione di Antiope come baccante, è frequentemente adoperato in pittura, e riecheggia una famosa opera di due artisti rodii, Apollonio e Taurisco, trasferita a Roma, stando alla testimonianza di Asinio Pollione, alla fine del II sec. a.C. Frutto della spoliazione delle Terme di Caracalla, il Toro giunse a Napoli via mare nel 1788 e fu destinato ad ornare la Villa Comunale, dove rimase sino al 1826. Ancora irrisolta è la questione della sua datazione: secondo alcuni si tratterebbe dell’originale di età ellenistica, mentre altri vi individuano l’opera di un copista di età giulio-claudia o di età severiana, al quale sarebbero da attribuire le due figure accessorie di Antiope e del giovane pastore, laddove la struttura piramidale e i personaggi principali rispecchierebbero fedelmente il prototipo, come risulta dal confronto con le repliche pittoriche.
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