Tra i più antichi e ricchi di opere d'arte della città, secondo tradizione, la chiesa fu edificata per volontà di Elena, mamma dell'imperatore Costantino, di cui santa Patrizia sarebbe stata discendente, tesi mai storicamente provata; trova maggior credito la teoria secondo la quale la chiesa venne edificata nell'VIII secolo per ospitare le monache Basiliane in fuga da costantinopoli, a causa dell'iconoclastia.
Nel 1009, il monastero venne unito a quello di San Pantaleone posto al lato opposto, fondato da Stefano II nella seconda metà del VIII secolo, per questo le due fabbriche vennero collegate da un cavalcavia, sul quale tra il XVI e il XVII secolo fu costruito il campanile, in occasione del rifacimento ex novo di tutti i corpi di fabbrica del complesso, epoca in cui, dopo il concilio di Trento del 1566, venne stabilito l'obbligo di clausura per le monache.
Segno della clausura, l'alto muro privo di aperture che circonda il complesso, si accede al complesso grazie ad una lunga scala, ricca di affreschi settecenteschi e marmi;
il chiostro monumentale, di eccezionale bellezza, con al centro tra alberi di agrumi, una fontana marmorea e statue a grandezza naturale di Cristo e la Samaritana al pozzo.
All'interno della chiesa, 52 scene ad affresco compiute da Luca Giordano, l'opera di maggiore rilievo dell'artista.
Nella quinta cappella a destra, vi sono le spoglie di santa Patrizia, custodite in precedenza in uno dei conventi rientrati tra quelli da sopprimere da Gioacchino Murat. Qui come per san Gennaro, si svolge il rito dello scioglimento del sangue della santa, per la cui devozione, i napoletani ricordano la chiesa col nome di Santa Patrizia.
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